L’anoressia non è come un raffreddore.
Michela Marzano
Non passa così, da sola.
Ma non è nemmeno una battaglia che si vince.
L’anoressia è un sintomo.
Che porta allo scoperto quello che fa male dentro.
La paura, il vuoto, l’abbandono, la violenza, la collera.
È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo.
Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire.
I disturbi del comportamento alimentare sono un gruppo eterogeneo di patologie tra le quali riconosciamo:
- Anoressia Nervosa Restrittiva
- Anoressia Nervosa Binge – Purge
- Bulimia Nervosa
- Binge Eating Disorder
- Obesità
Queste patologie sono accomunate da alterazioni marcate del comportamento alimentare, compromissione dell’immagine corporea, sentimenti di vergogna, imbarazzo e colpa correlati alle forme corporee o all’assunzione di cibo, relazione con il cibo e l’alimentazione marcatamente sconnessa dal senso biologico di fame sazietà o appetito.
Anoressia, bulimia e binge eating colpiscono in modo particolare bambini e adolescenti, ma anche donne adulte e sono in aumento nei paesi occidentali e nel resto del mondo. Negli ultimi trent’anni la diffusione di questo tipo di disturbi è aumentata in modo impressionante, al punto che si è parlato di “epidemia”: mentre alcuni decenni fa i casi complessivi di disturbo alimentare in una scuola superiore erano molto rari, adesso è possibile individuare più casi presenti nella stessa classe. Inoltre, se fino a pochi anni fa i disturbi alimentari erano tipici delle ragazze adolescenti in questi anni ci confrontiamo con la diffusione di questi disturbi negli adolescenti maschi e tra le donne adulte, con l’abbassamento dell’età media di esordio (6 – 8 anni), e con la promozione di aspetti culturali di massa che fanno breccia in modo trasversale su molte fasce di popolazione, coinvolgendo anche i bambini. Sempre più bambini ed adolescenti sono preoccupati per il loro aspetto fisico, ricercano i loro modelli di riferimento estetico nei personaggi visti in televisione e, adottando comportamenti alimentari sbagliati e insalubri, rischiano di “cadere” nella trappola di un disturbo alimentare subdolo, poco definito e quindi sfuggente all’osservazione dei genitori e dei medici. L’attenzione degli studiosi si è quindi concentrata sulla ricerca dei fattori responsabili di una tale diffusione, allo scopo di individuare fattori di rischio precisi e di iniziare adeguate campagne di prevenzione. In ogni parte del mondo numerosi bambini e adolescenti e con loro famiglie sono stati coinvolti in studi lunghi e scrupolosi, che hanno evidenziato i principali fattori di rischio coinvolti nello sviluppo e nel mantenimento dei disturbi alimentari.
Prima di descrivere più in dettaglio quali possono essere i fattori coinvolti nella genesi dei disturbi alimentari è necessario accennare cosa sia un “fattore di rischio”.
Per fattore di rischio si intende un fattore (genetico, familiare, sociale, ambientale, culturale etc) in grado di aumentare la probabilità (rischio) che un determinato evento-malattia si verifichi: ad esempio, in ambito strettamente medico, è noto che fumare aumenta il rischio di ammalarsi di cancro polmonare, così come appartenere al sesso femminile è un fattore di rischio per ammalarsi di osteoporosi. E’ evidente che la presenza di un fattore di rischio aumenta la probabilità di ammalarsi, ma non è la sola causa della malattia (non tutti i fumatori si ammalano di cancro ai polmoni, non tutte le donne in menopausa hanno l’osteoporosi).
Questo concetto è molto importante, poiché parlare di fattori di rischio nell’ambito di patologie complesse e per molti versi ancora “oscure” come i disturbi alimentari ha un senso solo se riusciamo a tenere presente che avere uno o più fattori di rischio aumenta la probabilità di ammalarsi, ma di per sé NON causa la malattia.
I disturbi alimentari si sviluppano spesso in modo insidioso e le fasi iniziali passano quasi sempre inosservate, perché sono molte e molto diverse tra loro le cause che concorrono alla comparsa dei diversi sintomi ed alla loro cronicizzazione o evoluzione nel tempo.
Detto questo è fondamentale NON attribuire a priori responsabilità univoche (è colpa della scuola, della società, della famiglia, della ragazza), per evitare inutili colpevolizzazioni che riescono soltanto a rallentare il percorso di guarigione.
Dal momento che i disturbi alimentari sono fenomeni molto complessi è dunque consigliabile evitare giudizi affrettati e superficiali sui “perché” e piuttosto mettersi in ascolto attento e partecipe del lungo e doloroso processo che ha portato la bambina, il ragazzo, la donna adulta a entrare in conflitto con sé stesso e con la propria identità e ad esprimere il disagio attraverso la battaglia contro il suo corpo ed il suo nutrimento.
I sintomi ed i segni di un disturbo alimentare difficilmente arrivano tutti insieme e in modo brusco; nel ripercorrere la storia del paziente è frequente individuare i semi dei DCA fino a molti anni prima dell’esordio, per esempio in particolari caratteristiche di personalità; talvolta questi semi sono intergenerazionali, vengono “tramandati” nelle famiglie in modo casuale e ovviamente inconsapevole, per poi esitare in un disturbo vero e proprio dopo due o tre generazioni.
La famiglia, essendo il nucleo primario di sviluppo dell’individuo, ha un ruolo importante nel creare l’ambiente in cui il disagio avvertito dal ragazzo può essere accolto, gestito, e affrontato o, in caso contrario, negato, respinto e trascurato. I motivi per cui le famiglie tendono a comportarsi in modi così diversi di fronte al disagio si devono ricercare nella storia familiare, nei ruoli dei diversi membri della famiglia e nelle sofferenze che ciascun individuo in quanto tale affronta nel suo percorso di vita e dunque anche in questo caso è inopportuno generalizzare e trarre conclusioni affrettate (“è colpa della mamma, perché litiga sempre col padre”).
L’importanza della famiglia nel condizionare lo sviluppo di un disturbo alimentare è un punto di partenza fondamentale per aiutare tutto il nucleo familiare a superare un momento di crisi “corale”, che si manifesta attraverso i sintomi di un membro ma che riguarda proprio tutti; i familiari non sono colpevoli da punire, ma diventano importanti alleati nel processo di cambiamento, ed essi stessi, attraverso il loro cambiamento, possono contribuire in molti casi a modificare l’esito della malattia.
Date queste premesse andiamo adesso a valutare con più precisione i fattori di rischio dei disturbi alimentari.
1) L’ambiente socioculturale influenza convinzioni e comportamenti anche e soprattutto nei bambini e negli adolescenti, assumendo un ruolo importante per la genesi di disturbi del comportamento alimentare, sovrappeso ed obesità.
In particolare sembra che i continui richiami alla magrezza, la denigrazione del soprappeso e obesità, l’attenzione sproporzionata all’apparenza e l’enorme disponibilità di cibo, svilito e spodestato dal suo ruolo principale di nutrimento siano un terreno fertile per l’esordio di sintomi alimentari sparsi a macchia di leopardo in tutta la popolazione giovanile, anche in assenza di un disturbo alimentare vero e proprio. Il bombardamento culturale svolge dunque un effetto “patoplastico”, e cioè indirizza l’espressione del disagio giovanile localizzandolo nel corpo e, soprattutto nella sua apparenza. Sul mercato sono oggi facilmente reperibili un gran numero di riviste per adolescenti e giovani adulti che pubblicano in ogni numero decine di pagine dedicate ad aspetto e forma fisica. In esse sono presenti consigli su come effettuare una dieta dimagrante o su cosa fare per migliorare la propria immagine. Inoltre, se classicamente il settore era indirizzato ad un pubblico femminile, da qualche anno gli editori si rivolgono con riviste specifiche anche agli uomini, diffondendo la cultura del fitness, della dieta, della perdita di peso a tutti i costi usando richiami culturali più maschili, come la necessità di avere un corpo muscoloso e forte.
2) L’ambiente familiare rappresenta il nucleo intimo nel quale convinzioni e comportamenti vengono discussi, accettati e proposti come modello, sia in modo diretto che attraverso l’uso di messaggi non verbali; le figure genitoriali determinano il contesto in cui il bambino cresce e si sviluppa e assumono un ruolo importante nell’adozione di convinzioni e comportamenti a rischio per lo sviluppo di un alterato rapporto con il cibo, rappresentando al tempo stesso un elemento chiave per la prevenzione e per il trattamento. Considerevoli evidenze suggeriscono che le abitudini alimentari di bambini e adolescenti si strutturano in base alle modalità di accudimento nutrizionale dei genitori stessi. 2a) Per molti anni un alterato rapporto genitori-figli è stato proposto come causa dei DCA, attribuendo una gran parte della responsabilità soprattutto alle madri. Questa ipotesi, che ha provocato sensi di colpa in svariate generazioni di madri, si è poi rivelata solo parzialmente veritiera, dato che oggi numerosi studi dimostrano che l’origine dei DCA è multifattoriale. Questo termine indica che il disturbo è dovuto a più cause ed è mantenuto da diversi fattori (biologici, personali, familiari, socioculturali etc..), tra i quali ad esempio la comunicazione intrafamilare assume certamente un ruolo rilevante, ma non esclusivo.
3) Presenza di idee errate e dannose (dette disfunzionali) nei riguardi del peso e delle forme corporee, spesso patrimonio della cultura del ragazzo, sia familiare che sociale.
Il raggiungere ed il mantenere un peso ai limiti della norma, o francamente inferiore, è una sorta di imperativo culturale, molto ben radicato nelle società occidentali perché legato da tempo all’immagine del benessere e della piena realizzazione personale. I soggetti più suscettibili a questo tipo di richiamo sono donne giovani o giovanissime con una bassa opinione di sé e dunque spesso insicure, che vedono nel raggiungimento di un basso peso e di una più accettabile forma fisica la soluzione degli insuccessi e dei disagi della loro vita. Chi sviluppa un disturbo alimentare dunque non è spinto esclusivamente da motivazioni socioculturali (tutti noi infatti siamo bersagliati ogni giorno da messaggi di questo genere, ma solo una minoranza sviluppa un disturbo), ma nasconde spesso sottostanti profondi fattori psicologici di disagio. I fattori sociali comunque rinforzano sempre il mantenimento del disturbo, promuovendo l’idea che la magrezza costituisca un indubbio valore distintivo, in grado di ridurre le insicurezze tipiche dell’età adolescenziale, e si pongono come fattore di rischio per la cronicizzazione del disturbo.
4) L’adolescenza come momento di cambiamento.
Il continuo confronto con i mezzi di comunicazione (televisione, giornali, pubblicità) sembra esasperare la abituale tendenza degli adolescenti a adattarsi ai cambiamenti corporei attraverso altri cambiamenti, quali l’abbigliamento, il tipo di pettinatura, la scelta di orecchini o piercing etc,. Un ruolo importante è dato anche dal desiderio di identificarsi con i propri coetanei, per cui si sviluppa la tendenza a emularne i comportamenti, nel tentativo di trovare in loro le risposte a quella sicurezza che non trovano in sé stessi, non avendo ancora una personalità strutturata in modo stabile.
Dal momento che i modelli estetici ideali sono anche patrimonio culturale delle famiglie i bambini li riconoscono primariamente attraverso i genitori o i fratelli maggiori e facilmente finiscono per considerarli un normale modello di riferimento. Sono infatti molti i bambini che esprimono la paura del grasso nonché il desiderio di iniziare una dieta anche se non ne hanno affatto bisogno. In chiave preventiva, è necessario che ogni adulto si interroghi a fondo su quali sono le sue opinioni e credenze rispetto a peso e aspetto fisico, e che lo faccia con lealtà, cercando di limitare la diffusione di messaggi ambigui o dannosi (“saresti così carina…peccato che hai la pancetta…”; “mangia meno che ti viene il culone come quello che aveva nonna…” “i jeans a vita bassa non te li compro perché ti stano male, hai le cosce grosse…”). Se per primi crediamo che il valore di un individuo dipenda in gran parte dall’aspetto fisico e dall’apparenza, sarà difficile convincere i nostri figli del contrario.
5) Sottoporsi a dieta dimagrante
Il disturbo alimentare esordisce quasi sempre dopo una dieta dimagrante intrapresa da un soggetto normopeso o con sovrappeso modesto. Soggetti adolescenti o giovani adulti che si sottopongono a una dieta rigorosa aumentano di 18 volte il loro rischio di sviluppare DCA; una dieta più leggera lo aumenta comunque di 5 volte.
6) Distorsione dell’immagine corporea
Per disturbo dell’immagine corporea si intende l’alterazione del modo di vedere il proprio corpo o alcune parti di esso, che appaiono agli occhi dei soggetti sproporzionalmente grandi rispetto alla realtà. La percezione di un’immagine di sé grossa, gonfia o comunque assai sgradevole è così realistica e intensa che questi soggetti la credono reale, e dunque fanno il possibile per migliorarla. Una grande parte del problema è rappresentata dal fatto che i soggetti sono insensibili alle rassicurazioni degli altri anche se spesso finiscono col chiedere continuamente conferme relative alla loro immagine. Talvolta capita che il soggetto posto davanti allo specchio riconosca di essere magro, ma abbia lo stesso la sensazione interiore di essere grasso. Sentirsi grassi, così come vedersi grassi, contribuisce a mantenere il disturbo e aumenta notevolmente il senso di paura che questi soggetti provano. La distorsione dell’immagine corporea occupa un ruolo centrale nello sviluppo e nel mantenimento dei DCA. Essa è in gran parte promossa dall’affermazione di precisi canoni estetici e mantenuta nel tentativo di adeguarsi ad essi. Numerosi studi indicano che circa il 25% delle ragazze fra i 10 ed i 15 anni riferisce di sentirsi sovrappeso o obesa, anche se per la maggior parte sono normopeso o sottopeso, ed è stato notato che l’utilizzo di vomito o esercizio fisico estenuante si afferma nelle ragazze in maniera crescente con l’arrivo della pubertà e l’adolescenza, come tenace tentativo di controllo. In generale si può dire che lo stereotipo del corpo atletico e magro è diffuso al punto che ben il 50% di un ampio campione di giovani donne intervistate ha dichiarato di sentirsi grassa o obesa, affermando di ricorrere a diete e esercizio fisico, di saltare pasti o desiderare di perdere peso (anche se la maggior parte era normopeso) perché insoddisfatta del proprio corpo. È interessante sottolineare che le grandi città dei paesi orientali, solitamente risparmiate dai DCA, cominciano adesso a popolarsi di soggetti affetti da queste malattie. Il problema si è recentemente esteso anche a paesi dove fino a qualche anno fa essere sovrappeso era indice di benessere e rispetto. Nelle isole Fiji i DCA sono comparsi non appena è stata diffusa la televisione satellitare americana.
7) Attività fisica e comportamento alimentare.
Molti studi hanno riscontrato uno stretto legame tra attività sportiva e DCA. Un esagerato aumento dell’attività fisica superiore alle normali abitudini ed alle reali necessità deve essere considerato sospetto di DCA, specialmente quando occupa la maggior parte del tempo disponibile, e rappresenta l’unico interesse perseguito con insistenza dal soggetto. Infatti in un discreto numero di soggetti l’esercizio fisico eccessivo solitamente precede altri segni di DCA ed è spesso strettamente legato a una dieta rigida, per cui l’attività fisica tende ad aumentare mentre invece diminuiscono l’assunzione di cibo ed il peso. Per molti anni si è parlato di discipline sportive che possono favorire l’insorgenza di un DCA, fra cui danza classica, pattinaggio, atletica e in generale gli sport che hanno come caratteristica specifica il controllo costante del peso-forma per mantenere un livello ottimale di prestazione. L’attenzione per il peso e la forma in certi settori dello sport è quasi sovrapponibile a quello dei pazienti affetti da DCA, con utilizzo di diete rigorose (spesso sbilanciate dal punto di vista nutrizionale) e di strenua attività fisica allo scopo di mantenere il peso nei limiti stabiliti. Per questi sportivi, il rischio di sviluppare un DCA è legato alla forte pressione dell’ambiente in cui viene praticato lo sport e al desiderio di migliorare continuamente la propria performance e il proprio stato di preparazione fisica. L’eccessivo allenamento, combinato con cattive abitudini alimentari e spesso anche con condotte compensatorie (vomito, diuretici, farmaci anoressizzanti,) unito alla crescente diffusione dell’attività sportiva agonistica può avere gravi ripercussioni sulla salute dei ragazzi. Dovrebbe essere raccomandato un atteggiamento attento e responsabile nei riguardi della salute.
Infine, un rapido accenno a quei fattori di rischio che fanno parte della storia del soggetto e, anche se non sono modificabili, possono essere affrontarti e rielaborati in un percorso di psicoterapia:
- la presenza di lutti o eventi di perdita nella famiglia, anche in epoche molto remote (addirittura durante la gravidanza);
- eventi di vita gravi come maltrattamento e abusi/violenza sessuale;
- traumi infantili legati ad un cattivo inserimento sociale (ripetute prese in giro dei coetanei e degli adulti sul peso e l’aspetto fisico, isolamento dagli altri etc);
- alcuni tratti di personalità come la rigidità, il perfezionismo, e l’intolleranza alle frustrazioni sono presenti nella maggior parte dei soggetti con disturbi alimentari.
I fattori che possono portare allo sviluppo di un DCA sono numerosi. Fra questi, alcuni sono necessari per provocare il disturbo (fattori predisponenti, senza di essi il disturbo non si manifesta), altri costituiscono l’innesco, il trigger che dà inizio ai primi sintomi (fattori scatenanti), altri infine mantengono il disturbo e rendono difficile il processo di guarigione (fattori di mantenimento).
Scrivimi per ricevere gratuitamente il pdf di:
CIBUS – Anoressia, Bulimia, Obesità. Guida per una migliore comprensione.