“Nel momento in cui nasce un bambino, nasce anche la madre. Lei non è mai esistita prima. Esisteva la donna, ma la madre mai. Una madre è qualcosa di assolutamente nuovo.”
Osho
La depressione è una malattia che, come tutte le malattie a carico della psiche è molto temuta, perchè è nota la sofferenza di chi la vive e l’impegno terapeutico richiesto per uscirne. Quando colpisce le donne in gravidanza la depressione spaventa due volte: spaventa per la madre, impegnata nella gestazione e ostacolata dalla depressione, spaventa per il nascituro, che insieme alla madre affronta il disturbo dell’umore. Su questo quadro, già impegnativo, cala poi l’ombra del post partum: la depressione post natale fa, se possibile, ancora più paura della depressione in gravidanza, come se tutte queste fossero condizioni senza rimedio, come se nulla potesse essere fatto.
Invece, gli studi internazionali da ormai molto tempo insistono su alcuni punti chiave:
- La presa in carico della donna in gravidanza da un servizio ostetrico multidisciplinare (medico, ostetrica, psicologo) in grado di stabilire una relazione terapeutica con la donna e di individuare tempestivamente la presenza di criticità e porre in essere un adeguato percorso di sostegno personalizzato;
- La diagnosi precoce del disturbo depressivo;
- L’intervento sull’unità madre-bambino e sul nucleo familiare, strutturato in modo da aiutare la madre e favorire per quanto possibile una relazione sufficientemente buona con il bambino nella pancia e poi con il bambino nato.
Abbiamo già affrontato più volte in questo blog alcuni importanti temi di salute perinatale, descrivendo i principali disturbi psichici che si possono presentare durante la gravidanza o dopo la nascita del bambino. Abbiamo inoltre sottolineato più volte che alcuni argomenti relativi alla salute mentale (depressione, psicosi, disturbi alimentari) e al ciclo di vita (malattia, lutto) nella nostra cultura sono un tabù, e di conseguenza sono ad alto rischio di stigmatizzazione.
La gravidanza di per se’ non è un tabù ma i disturbi psicologici della gravidanza o del puerperio, le difficoltà di adattamento, i disturbi della relazione madre bambino sono invece un grosso e pericoloso tabù. Nell’immaginario collettivo (cioè nella cultura popolare transgenerazionale, sui social media, nei gruppi di accompagnamento alla nascita, persino in alcuni gruppi di scanzonati operatori perinatali) la gravidanza non può non essere
“Il periodo più felice nella vita di una donna“
Il mito della madre felice, priva di ambivalenze e contraddizioni, priva di ombre e totalmente scintillante di luci benevole, è graniticamente scolpito nella memoria ancestrale di molti di noi.
Le madri che non scintillano, poverine, non sono buone madri.
Avranno sicuramente dei problemi.
Non sono abbastanza consapevoli.
Non si accontentano di ciò che hanno.
Non hanno fatto abbastanza terapia.
Non hanno aspettato il tempo giusto per avere un bambino.
Hanno voluto un figlio a tutti i costi e ora sono stressate.
Non hanno abbastanza carattere per fare le madri.
Ovviamente il “mito della madre felice” non corrisponde a verità e non segue nemmeno una distribuzione gaussiana, non essendo rappresentativo della popolazione delle madri: ma questo non si può dire. Chi osa dire il contrario, cioè che si può essere buone madri e anche collezionare ambivalenze, inciampi, difficoltà, e più ombre che luci, è guardato con sospetto, messo a tacere, apostrofato a male parole come se non sapesse di cosa sta parlando. Come se non avesse mai visto una madre alle prese con la maternità.
Se la madre non si sente felice, ha qualcosa di strano: d’altronde, chi non sarebbe felice di essere in gravidanza al suo posto? Oltretutto, se la gravidanza è fisiologica e il bambino sta bene, impossibile poter accettare che la madre possa vivere un periodo breve o lungo di criticità emotiva. Vorrei ricordare brevemente che la stessa sorte di intolleranza tocca anche alle madri che non riescono ad avere figli, che li perdono durante la gravidanza e che vivono un lutto perinatale: abbiamo già detto che nel nostro paese anche il lutto è un tabù, e come tale viene affrontato in società.
Tutti hanno parole da spendere sulla mente delle madri, su come vivono le loro gravidanze e i loro puerperi (se vogliamo fare un breve ripasso in merito, possiamo vedere come ha reagito il popolo social al puerperio di Chiara Ferragni, e di molte altre web-madri). Potrebbe sembrare che su come si sentono le madri, su come dovrebbero sentirsi e su come si dovrebbe affrontare la maternità in tutte le sue sfumature tutti quanti siano più esperti… delle madri! In questo clima, una donna che si senta “fuori dal coro” e provi delle sensazioni non conformi all’immaginario può durare molta fatica a diventarne del tutto consapevole e a cercare un conforto/confronto all’esterno.
Il giudizio è sempre dietro l’angolo: “è una depressa, è un’anoressica, è una bipolare, è una infertile, è una primigravida attempata”. Non è, quasi mai, una donna in gravidanza con un passato di depressione. Non è, quasi mai, una donna in gravidanza con una storia lunga di infertilità: bensì è una malattia, o una diagnosi. Una diagnosi incinta. Una diagnosi che allatta, o, forse peggio, una donna che fa storie perchè non ha altro a cui pensare.
Essere giudicati per un presunto disturbo mentale, o attribuire a un disturbo mentale note di demerito, mancanza di volontà o di colpa è una dinamica molto frequente, non solo sui social. Anche in alcuni ambienti socio-sanitari i disturbi mentali in gravidanza, lievissimi, lievi, medi, gravi che siano, sono comunque oggetto di giudizio, non solo clinico, ma sulla persona che li porta.
Se la malattia mentale è oggetto di giudizio negativo al punto da diventare descrittivo di tutta la persona (che non HA la depressione, ma È depressa) la pressione sociale e culturale su questa condizione ha fatto sì che nel tempo per reazione allo stigma, si sia giunti a negare l’esistenza della malattia mentale, a nasconderla, mistificarla, ridimensionarla, ogni volta che si può. Questa pericolosa negazione del problema salute mentale materna ha fatto sì, che, nella stessa società pronta a giudicare tutto e tutti a colpi di stigmatizzazioni, la donna in gravidanza che soffre di depressione non vede riconosciuta la sua depressione, nonostante la palesi: a volte ci sono resistenze da parte del partner, da parte dei familiari, o degli stessi curanti. Può dunque capitare che la donna con depressione in gravidanza venga spinta, spronata, indotta a “farsi forza“, a “pensare positivo“, a “dialogare con il suo bambino“, a “pensare al bene del bambino“, che, sia chiaro, non può che essere prioritario. Che madre sei se il bambino non riesci nemmeno a prenderlo in considerazione, tanta è l’angoscia che ti attanaglia il cuore?
Tutti parlano, nessuno (o quasi nessuno) ascolta.
Tutti offrono ricette, rimedi, riparazioni precostituite: pochi stanno accanto alle madri che vivono all’ombra delle loro attese e non sanno di poter brillare. Pensano di non poterlo fare. Non loro.
Non riusciamo ad ascoltare le madri e quello che hanno da dirci perchè è più facile giudicare ed etichettare e diagnosticare e consigliare e distrarre ed esortare, che mettersi in ascolto e cercare una buona soluzione condivisa, avendo il coraggio di chiamare le cose col loro nome: depressione se è depressione, disturbo dell’adattamento, se è un disturbo dell’adattamento, e via dicendo. Trovare la soluzione possibile per quella madre e quel bambino, anche quando le risorse interne sono poche e la luce mitica della madre luminosa è ridotta al lumicino. Anche quando per tornare a brillare occorreranno mesi, lunghi mesi di sostegno, accompagnamento, terapia e vicinanza. Le parole di Serena Williams, neomadre e famosa sportiva afro americana, sono per le madri di oggi un vero toccasana, nell’oceano di giudizi affrettati e consigli non richiesti. Sono una neomadre, ma sono anche la me stessa di sempre, con tutte le mie vecchie luci e le mie vecchie ombre: posso avere delle difficoltà a integrare il ruolo di madre nella mia vita, delle difficoltà a sentirmi pienamente soddisfatta, delle paure e delle incertezze, ma posso concedermele, senza infliggermi un ulteriore giudizio accusatorio, e posso cercare aiuto.
Il mito della madre scintillante e il tabù sulla salute mentale perinatale ostacolano di fatto il lavoro degli operatori sanitari seriamente impegnati nella lotta ai disturbi dell’umore in ambito perinatale e ostacola anche l’innesco della resilienza nelle madri: viviamo in una società estremamente giudicante e emotivamente molto impoverita, le madri che sono per natura esposte agli stimoli esterni, al giudizio e sensibili alla critica, da qualunque parte provenga, immerse in questo ambiente ostile durano spesso fatica a riconoscere e poi accettare di avere un problema e non riescono a chiedere attivamente aiuto per risolverlo: al tempo della madre scintillante, siamo schiacciate dallo stigma della malattia mentale e dal mito della “cattiva madre”.
Eppure lo sappiamo molto bene, che esistono i disturbi dell’umore, e lo sappiamo, che ci sono gravidanze impegnative e puerperi difficili, le abbiamo viste, le vediamo e le vedremo, perchè i disturbi dell’umore perinatali riguardano almeno una donna su cinque. Sin da bambine, cresciamo immerse in un doppio messaggio, tra la bellezza idealizzata dell’attesa e dei primi mille giorni del nostro bambino e la fatica, la solitudine, lo smarrimento che molte si sono trovate ad affrontare durante la gravidanza e dopo il parto.
“Non è come mi sarei aspettata”
La gravidanza non è necessariamente un periodo di gioia o di euforia: a volte non è nemmeno un periodo di modesta e rassicurante serenità. Talvolta la gravidanza è un salto indietro nel passato, a rielaborare ferite mai elaborate della nostra infanzia, talvolta è costellata di incertezze, per via di lutti recenti non risolti, a volte somiglia di più ad un percorso a ostacoli che ad un’oasi di pace e di bellezza creativa.
Nonostante le donne vivano frequentemente esperienze di maternità non proprio idilliache poterle dire ad alta voce è ancora un tabù. Anche se i vissuti relativi al periodo dell’attesa sono molti, diversi, soggettivi e spesso non sovrapponibili tra loro, nonostante non esista “La Madre”, ma esistano, piuttosto, “Le Madri”, parlare di salute mentale e disagio psicologico in gravidanza nel nostro paese è ancora molto difficile. Ammettere a se stessi prima ed agli altri poi che la propria gravidanza sia stata psicologicamente difficile e lontana dalle aspettative è un primo, coraggioso passo, in questa società ancora sorda ai bisogni delle madri.
“Aver cura del benessere delle neomamme contribuisce a porre le fondamenta del benessere dei loro bambini.”
Alba Marcoli
Per approfondimenti:
E le mamme chi le aiuta? – Alba Marcoli
Gravidanza e contesti psicopatologici – PL Righetti (a cura di)
Maternità difficili – Nadia Muscialini